“Non temo l’uomo che ha praticato 10.000 calci una volta, ma temo l’uomo che ha praticato un calcio 10.000 volte.”
Celeberrima e spesso abusata, questa citazione di Bruce Lee ci consente di affrontare un argomento importante e talvolta spinoso per qualsiasi praticante di Arti Marziali: il Kata. Il momento del Kata viene vissuto talvolta in modi diametralmente opposti dagli atleti, in particolare talvolta ci si trova a confrontarsi con chi, per ottime ragioni e preferenza personale, ritiene l’esecuzione dei Kata come una mera perdita di tempo, quasi (o molto) noiosa.
Cos’è il Kata?
Il Kata 型 o 形 (forma, modello, esempio) è una serie di movimenti codificati, da svolgersi secondo un ordine prestabilito e in coordinate spazio-temporali precise, per simulare l’applicazione di determinate tecniche in un combattimento contro avversari immaginari, o partner reali (in questo caso il Kata prende il nomer di Bunkai). Il Kata non appartiene esclusivamente alle Arti Marziali, ma lo possiamo ritrovare in numerose discipline artistiche tradizionali giapponesi (ad esempio nell’Ikebana – la composizione floreale – o nello Shodō, – l’arte della scrittura).
Come dicevo, il Kata è un combattimento simulato: questo concetto è molto importante, perché il se il suo studio può essere eseguito a differenti velocità, al fine di comprenderne i passaggi più sottili e delicati, l’esecuzione finale deve rendere efficace la dinamica di combattimento, con il suo carico di adrenalina e di energia estremizzata. Un Kata, qualsiasi Kata, deve essere visto come un’importante possibilità di spingere l’apprendimento ai livelli più profondi, la ripetizione di ogni singola tecnica in una determinata sequenza può aiutare a comprendere la tecnica stessa nel suo intimo, studiando il proprio corpo nell’esecuzione di ogni singolo movimento, e di come esso reagisce per collegarsi al movimento successivo. Permanendo in stasi per ascoltare l’equilibrio e la consapevolezza che inizia a fluire in ogni muscolo. Moltiplicando questo istante di conoscenza per tutte le posture del Kata. Ecco perché i Maestri Giapponesi dicevano che sono necessari tre anni di allenamento per apprendere un Kata.
Ed ecco perché un Kata non può essere un momento di inutilità o di noia: perché per chi lo vive in questa maniera, semplicemente non sta praticando un Kata.
Un Kata per un taglio
Qualche tempo fa mi sono cimentato nel Tameshigiri, il taglio di prova che si vede praticare sul bambù. Avevo con me la Katana che utilizzo in allenamento, quindi, per quanto io ci sia affezionato, sono consapevole che è prodotta industrialmente e qualitativamente poco si discosta da uno strumento di allenamento, la sua lama in acciaio è completamente dentellata per i numerosi impatti con le katane degli istruttori e degli allievi. Sebbene le premesse, dunque, non fossero ottime, mi pongo in posizione “SEI” davanti al bambù, la Katana morbida tra le mani, le braccia lievemente flesse. Lì, per quanto si possa pensare che nessuno, tanto meno gli istruttori, lo utilizzino più, è iniziato il mio Kata: mentale.
Lascio che il corpo si assesti, con il giusto equilibrio tra contrazione muscolare e rilassatezza, a partire dalle mani, quindi le braccia, spalle e via via sino ai piedi; quindi inizio a ripassare, decimo di secondo per decimo di secondo, i movimenti che dovrò eseguire, cercando la massima concentrazione e la massima precisione nell’ascoltare e preparare i muscoli alle contrazioni corrette nei momenti precisi. Vedo la lama che si solleva, quindi si inclina, pronta al taglio obliquo; ripasso il movimento delle anche, delle spalle, i gomiti che si estendono e in ultimo il perno che creato dai movimenti opposti delle mani nell’atto del taglio vero e proprio. Mi assicuro che la lama stia avanzando correttamente e non “di piatto”. Prendo il tempo del kiai, e visualizzo la lama che oltrepassa il bambù e procede in obliquo verso il mio fianco sinistro, quindi fermo il movimento con fluidità e riprendo la posizione di guardia.
Cinque minuti di concentrazione, per eseguire un taglio: che si svolge in pochi decimi di secondo. Ed avviene esattamente come avevo visualizzato in precedenza. Una minima imprecisione o incertezza e il fusto si sarebbe sfilacciato, o sarebbe rimbalzato via al posto di tagliarsi di netto.
Questa è l’essenza del Kata: comprendere il movimento non solo nel dettaglio, ma “nel suo intimo”, per poi poterlo eseguire con fluidità e senza incertezze. Necessita di pazienza, attenzione e passione: altrimenti non è un Kata ma una serie di movimenti fini a sé stessi. Ripaga con la consapevolezza e la conoscenza.
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